FAMIGLIA PIETRO MAGHÉT

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La casa prima del disastro

Qui sono morti i coniugi Sabina e Pietro, le figlie Caterina e Maria e il marito di quest’ultima. Sulla pietra sono cementati i pochi oggetti ritrovati, testimoni di vite strappate.

Pietro
Maria
Sabina
Domenico
Caterina
Pietro con gli amici

Paolo, uno dei figli rimasti, con la sua famiglia abitava nella parte bassa di questa frazione che era stata espropriata dalla SADE in seguito alla costruzione della diga e all’innalzamento del lago. La famiglia, lasciata la vecchia casa, scelse di rimanere alle Spesse in una casa nuova. Era qui dove ci troviamo. Poco distante dalla nuova abitazione c’era un’antica fontana.

Paolo ricorda quel periodo.

Assistevamo inermi e con grande tristezza alla lenta ma progressiva scomparsa di quel nostro mondo che, trasformato e curato da secoli di paziente fatica, aveva permesso a tante generazioni di sopravvivere a inenarrabili difficoltà. Mio padre accettò l’imposizione, la nostra casa doveva essere abbandonata. Democraticamente riunì la nostra famiglia, noi quattro figli e mia madre ed espose la questione se ricostruire nella nostra valle oppure abbandonarla, come avevano fatto altri espropriati.

…Optammo, all’unanimità, di restare e ricostruire circa trecento metri più in alto, sul Còl de la Rùava.

Ricordo che mio padre, per recuperare qualcosa che era appartenuta, per tanti lustri ai suoi avi, trasportò a spalle le lastre di pietra del tetto della vecchia casa e le usò per pavimentare il cortile della nuova.

Nel 1958 ci trasferimmo da via Spesse 83 a via Spesse 20.

Paolo era a lavorare in Francia e la mattina del 10 ottobre seppe della  catastrofe da un collega di lavoro che, durante la notte, aveva ascoltato la radio. Lui non andò al lavoro e per tutta la mattinata ascoltò le notizie che giungevano dall’Italia, l’unica cosa certa era che Longarone era distrutta.

La sera, insieme ai tanti operai di queste zone partì per l’Italia.

Arrivammo alla stazione ferroviaria di Venezia alle ore otto del mattino dell’undici ottobre con il mitico Orient Express e lì acquistai un giornale quotidiano. I titoli in prima pagina furono per me terribili: “Longarone e le località Spesse, San Martino, Pineda e Prada di Erto sono scomparse.

Prese il pullman prima per Pordenone e poi per la Valcellina. Arrivò a Cimolais e l’indomani, in Vespa con un collega di lavoro, giunse a Erto.

Spesso ripeteva che il suo dolore era così grande che mai avrebbe potuto guardare la ricostruzione dell’onda che arrivava nel suo borgo.  Ha sempre voluto pensare che tutto fosse successo in un attimo, cogliendo nel sonno i suoi famigliari.

Il Sedime

…Non ricordo niente nel transito per San Martino ed Erto. In località la Velma de Sciastón trovammo un posto di blocco, vigilato dalla Guardia di Finanza. Cercai di oltrepassare ma fui bloccato, li informai che ero di lì e che tornavo dalla Francia, mi lasciarono passare solamente quando mostrai il passaporto. Mi avviai a piedi di fretta verso casa mia ma, più andavo avanti più rallentavo, ero frastornato, non capivo più dove mi trovavo, tutto era cambiato, tutto il territorio era raso al suolo, denudato, niente più case, niente più alberi, erano rimaste solamente una decina di case nella parte alta a testimonianza che su quel colle era esistito un borgo.

…Finalmente giunsi a casa mia, mi sedetti straziato sul cumulo di macerie rimaste di essa. Mi guardai attorno, tutto era scomparso nel nulla: i miei genitori e due sorelle, una delle quali incinta.

Renata Manarin ricorda i nove giorni di scuola media a Longarone. Caterina, sorella di Paolo, era la sua compagna di banco. La mattina del nove ottobre 1963 erano insieme a scuola, la sera l’onda la travolse e non la rivide più.

Casa Svaldin, sacello e macerie

1966 Nella fotografia sono ancora evidenti i segni lasciati dall’onda. La vita sta riprendendo.

Ora, attraversa la statale e scendi lungo la strada dove c’è il divieto per le auto. Pochi passi e a sinistra c’è il sedime dove abitava Giuseppe, lo zio di Paolo.

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