FAMIGLIA BENÉTO

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Famiglia Benéto
Casa Benéto prima del disastro

Qui hanno perso la vita otto persone: Margherita di soli sei mesi, la mamma Domenica, il papà Pietro, il nonno Benéto e gli zii: Enzo, Sergio, Carlo e Gabriella. Era una casa grande, spaziosa, con un ampio cortile, la fontana, l’orto, il pollaio, la stalla e intorno prati e campi.

Era una frasca. C’era sempre qualcuno che si fermava a bere un bicchiere di vino, scambiando quattro chiacchiere. Troneggiava nella sala l’immagine del vecchio con il boccale di birra Moretti.

Giacomina di Casso ricorda che il nonno era solito, dopo il ritiro della pensione, fermarsi qui al bar da Benéto. Soste lunghe tra un bicchiere e l’altro tanto che i familiari dovevano scendere da Casso per riportarlo a casa.

La croce e gli oggetti ritrovati
Le scarpe tra le macerie

Si scavò per tanti giorni nella speranza di ritrovare qualcuno. Nessuno di questa famiglia ebbe sepoltura. Riemersero solo oggetti di Memoria.

Impressiona la cucina economica aggrovigliata, ma non del tutto spezzata, per un fuoco acceso che sprigionava amore e dedizione. Le scarpe, che nel tempo si sono conservate, raccontano di passi. Sembra di udirli sostando in silenzio.

Dal fango è riapparsa anche una cartolina. Un indirizzo: Via Spesse, un nome: Gabriella e un saluto da Guerrino. Tutto e tutti cancellati per sempre.

Cartolina ritrovata tra le macerie

Fulvia, la nipote ricorda

…Davanti alla casa la voce della fontana mi faceva compagnia.

E oggi…

Mi ritrovo spesso muta su queste piastrelle della casa del nonno. Non oso camminare su questi frammenti di pavimento lasciati dall’onda, o lo faccio in punta di piedi. Una cucina economica schiaffeggiata dall’acqua, qualche pentola, un paio di scarpe, una bombola del gas, qualche cucchiaio, i tubi dell’acqua del bagno, tutto qui. Il tetto, i muri del mio castello riappaiono quando tumultuosi mi abbracciano i ricordi. Era questa la casa degli zii, del nonno, di Margherita e ora vagano nel silenzio del bosco, senza sepoltura.

Posso però cercare ancora gambi di tarassaco. Anche il mio ruscello è riemerso dal fango, è di nuovo qui, non ha perso la voce…

Svaldìn era lontano per lavoro e quando arriva in paese incontra la sorella Rachele sulle macerie della loro casa.

Mio fratello Svaldìn era a lavorare sul traforo del Gran San Bernardo, un operaio lo avvisò dicendogli che aveva sentito che era caduta la diga ma non era certo. Provarono a telefonare, le linee erano tutte interrotte. Allora Svaldin buttò il badile e con la giacca sulle spalle partì.

In qualche modo riuscì ad arrivare alle Spesse.

… Io mi trovavo a Patata dov’era la mia casa, con Francesca e Nani; lo vidi spuntare sulla costa dal Giarós, ancora con la giacca sulle spalle. Ci raggiunse scendendo giù per il materiale perché strade non ce n’erano e disse:- Sono tutti qui? Io risposi di sì.

Oggetti riemersi dal fango

Ricordi di Angelica, la nipote. Aveva 7 anni al tempo del disastro. Il nonno lo chiamavano “barba”.

Mi piaceva sedermi sulla porta più bassa della stufa a legna.

Ricordo la carrozzina blu, grande di Margherita, era in fondo a una stanza.

Un giorno, salii sulla moto che era in una stanza a sinistra dietro la lambretta. Cominciai ad annusare la benzina del serbatoio. Rimasi a lungo…che buon profumo! Poi stetti male e mé barba e mio zio Piero mi portarono fuori, sul prato vicino a casa, all’aria.

Ricordo il gioco con una piccola carrucola appesa a un filo di ferro. La facevo scorrere in su e in giù dopo aver appeso qualcosa.

Ricordo mé barba col basco in testa e ogni tanto se lo toglieva e lo mordeva, non so se per finta o perché fosse arrabbiato.

Mi torna in mente il cartoccio confezionato dal nonno a mo’ di cono di gelato. Me lo riempiva di fregole che non erano altro che farina fritta nel burro. Tra le mie mani la carta cambiava colore inzuppata a poco a poco dal grasso del burro.

I dispetti di Enzo, lo zio più giovane.  Mi disse di non accendere la luce, io mi coricai al buio, ma il letto era pieno di ortiche…Come pungevano! E lui se la rideva.

Mi dispiace tanto di avere pochi ricordi. Col disastro penso di averne cancellati molti. Spesso la sera quando vado a dormire penso a loro e piano piano qualcuno riaffiora.

Benéto
Carlo
Enzo e Sergio
Gabriella
Domenica e Margherita
Pietro

Nani de l’Alba, quella notte, insieme a Patrizio, va alle Spesse

… volevo cercare la casa dei parenti di Rachele ma mi era impossibile individuare il posto con la sola luce della lampada.

Croce Benéto
Il dottor Gallo Paolo e Rico

e nel dicembre 1963 la neve provò a nascondere le ferite.

La nipote Doris, nella primavera del 1964, per la prima volta dopo il disastro ritorna in paese accompagnata dal papà e arriva fino a qui dove c’era una grande croce di legno realizzata da Svaldìn.

…Accarezzo con lo sguardo quella croce. Ogni pezzetto di legno per me ha un nome, un gesto, un dispetto, un sorriso. Ora la grande croce di legno non c’è più, è rimasta quella del cuore. Guardo papà, vorrei poterlo consolare, ma non riesco a trovare né voce né parole.

La croce, il lago e la frana

Mi siedo sconsolata in quel deserto di pietre grigie e chiudo gli occhi così non vedo la distruzione e posso illudermi che tutto sia come prima, prima che chiudessero la valle con la grande diga, quando le case erano oltre al Crist, giù, giù fino al Mulino e il Vajont scorreva libero in mezzo alla natura.

…Do un ultimo sguardo desolato al mio borgo, ti rivedrò con gli occhi della memoria, bello e operoso com’eri prima…

Enzo al lavoro
Attrezzi di Enzo

Enzo lavorava, insieme ad altri operai, a Casso per sistemare il sagrato della chiesa. Finita la giornata tornò a Erto e lasciò i suoi attrezzi lassù per ricominciare l’indomani, ma non gli servirono più.

Trascorsi alcuni mesi, Don Carlo li consegnò al fratello. Oggi in un sacchetto appeso a un chiodo continuano a conservare il sudore delle sue mani. E rimangono le immagini fotografiche degli ultimi giorni di lavoro.

Il sedime

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