… ci proponemmo di proseguire fino in fondo, anche se non trovammo nulla, solo melma, sassi e alberi schiantati. In questa desolazione giungemmo al “Crist”.
Tutto distrutto.
Nani dal Brómbol
Sei nella località al Crist così chiamata perché qui c’era il Cristo in croce che sicuramente era stato realizzato in Val Gardena. Al palo infisso nel terreno era attaccata una piccola cassetta metallica dove venivano raccolte le elemosine dei fedeli che lì passavano. La stessa località, dai cassani veniva chiamata Baràt, forse perché in tempi antichi, in quel luogo venivano barattate merci fra le due comunità di Erto e Casso.
Qui abitavano due famiglie.
Nella prima casa hanno perso la vita i coniugi Giacoma e Giuseppe (diminutivo Pinùt) con i figli Nino e Flora. I fratelli, Elio, Ettore, Anita e Lidia erano lontano.
Marilisa, che con la sua famiglia aveva dovuto lasciare la borgata a seguito dell’esproprio, il giorno dopo il disastro, arrivò alle Spesse insieme alla mamma. Intorno a lei elicotteri in volo, disperazione e desolazione. Per strada, due mani le cinsero le spalle. Istintivamente si girò. Era Elio. Si abbracciarono. Quel gesto raccontò più di ogni parola.
Ancora oggi, Marilisa, conserva nel cuore quel profondo abbraccio.
…Pinut era senz’altro l’uomo più ingegnoso della contrada, possedeva una manualità sorprendente, sapeva fare: il fabbro, il falegname, lo scalpellino, il calzolaio, il muratore, lavorava di tornio, aggiustava perfino le macchine da cucire fabbricando a volte pezzi di ricambio.
Paolo Filippin
Nella seconda morirono la nonna e il nipote Roberto. Anna, la figlia, racconta che aveva lasciato casa sua una settimana prima del disastro.
L’ultimo giorno avevamo chiacchierato così come si fa tra madre e figlia.
Ricordo la cena. Era solita preparare al tortél: due uova, due bicchieri di latte, tre cucchiai di farina e mescolava il tutto in un catino. Lo cuoceva in un tegame dopo averlo unto. Entrando in casa c’era la cucina economica e poi una piccola vetrinetta. In una baracca il deposito della legna. Era lì che la mamma la prendeva e la teneva accatastata vicino alla cucina economica. Un’abitudine che, ancora oggi, ho anch’io.
Nel 1960 Anna lavorava sul Toc come cuoca. Cucinava per un geometra e due operai addetti alla ricostruzione dei muretti a secco che crollavano con lo spostamento del terreno. Al tempo del disastro era invece in Cadore da Pierino che ancora oggi ha un negozio di abbigliamento.
Quella sera Pierino tardava e fu un poliziotto a cui mi ero rivolta a chiedere informazioni che mi disse quello che era successo. Sembrava che la diga fosse crollata. Con lui arrivai verso Longarone fin dove fu possibile, e vidi cose strazianti. Dopo tre giorni raggiunsi Cimolais da Tolmezzo visto che da Longarone non c’era più niente. Solo dopo molti giorni potei arrivare dov’era la mia casa perché c’era solo una distesa di pietrame.
Ho perso la mamma e il nipote Roberto, figlio di mia sorella Maddalena.
Andava a scuola a Longarone e la sera stava dalla nonna a tenerle compagnia. Se fosse rimasto a casa sua si sarebbe salvato. La sua casa era una di quelle che l’onda aveva risparmiato.
Marilisa ricorda i suoi luoghi e ci regala alcuni scatti fotografici. In uno, lei tiene il braccio il fratellino, accanto, con il fiocco bianco tra i capelli, c’ è Flora.
In fondo, verso Erto, c’era invece la contrada Molìns de le Spesse. Un antico mulino che apparteneva alla famiglia Rabàlta e la segheria di Menolìn, erano azionati dalla forza de l’Èga dal Molìn.
Il nostro viaggio alla ricerca dei sedimi termina qui.
Ora rifai lo stesso percorso per tornare da dove sei partito.
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